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DISSERTAZIONI DI DOTTORATO
2010-2011

MELE Salvatore

A causa della speranza di Israele.
Il finale del libro degli Atti (At 28,17-31) alla luce della predicazione ad Antiochia di Pisidia (At 13,13-52) e a Corinto (At 18,1-18) (Mod.: Prof. Johannes BEUTLER, S.J.)

a. Contesto e tema della tesi

L’opera lucana (Lc-At) è lo scritto più universalistico del NT e in pari tempo il più attento alle radici ebraiche del cristianesimo. Il tema centrale di Lc-At non è semplicemente quello di un generico universalismo. Il problema del rapporto chiesa/gentili, per Luca non può essere risolto se si prescinde dall’altro aspetto, il rapporto chiesa/Israele: il rapporto non è bipolare, ma tripolare. Soprattutto oggi si va riscoprendo l’importanza e la centralità di questo aspetto nell’opera lucana, e nell’ambito di questa problematica si è inserita anche la nostra analisi che ha preso le mosse dal finale del libro degli Atti (At 28,17-31) in cui questo rapporto tripolare (chiesa-Israele-gentili) emerge in tutta la sua chiarezza e problematicità (cf At 28,26-27.28). Abbiamo esplicitato questa problematicità in alcune domande (At 28,17-31 segna la fine della missione verso i giudei in generale? Il testo di Isaia sull’indurimento del cuore , vv. 26-27, vuole esprimere una condanna definitiva del popolo ebreo? La salvezza menzionata nel v. 28 è riservata oramai soltanto ai gentili? L’incredulità di Israele ha contribuito allo sviluppo della missione dei gentili? È quest’ultima, anzi, da considerare una conseguenza della prima?) che hanno più concretamente ispirato questo lavoro e la sua articolazione in tre capitoli. Per rispondere a queste domande di fondamentale importanza è stata la contestualizzazione del problema alla luce dello sfondo anticotestamentario, nonché del contesto proprio dell’opera lucana, più precisamente di altri due brani degli Atti in cui troviamo le stesse problematiche e domande del finale del libro: At 13,13-52 (cf 13,46) e At 18,1-18 (cf 18,6).

b. Risultati raggiunti e attualità del tema

Come visto nel primo capitolo dedicato allo studio del finale del libro (At 28,17-31), l’opposizione ebraica è da contestualizzare nell’ambito di una critica religiosa tra correligionari, che nello specifico della hairesis cristiana assume dei toni particolarmente violenti quanto più se ne intuisce la novità, percepita dagli increduli come minaccia. L’incredulità di Israele, viene interpretata col teologumeno dell’accecamento e paradossalmente applicata al “popolo” in tutta la sua totalità (At 28,26-27; cf Is 6,9-10 LXX). In questo modo, sulla linea della tradizione biblica non si rinuncia ad una visione collettiva di Israele e ad un sua possibile illuminazione futura, inclusa nel teologumeno stesso. Infatti, contrapponendo – ancora in maniera paradossale (da una parte tutto Israele, dall’altro tutti i gentili) l’incredulità di Israele all’ascolto dei gentili (vv. 26-27.28), il testo ha la funzione di scuotere in vista di un possibile ravvedimento.
   I vv. 26-27.28, inoltre, letti nel contesto del libro degli Atti non stabiliscono un collegamento tra l’incredulità di Israele e la missione ai gentili: come ampiamente visto nel capitolo secondo dedicato al confronto di At 28,17-31 con At 13,13-52 letto nel contesto più ampio di At 1-15, la missione ai gentili si pone in continuità con la missione ai giudei, anzi è grazie all’accoglienza del vangelo da parte degli ebrei che la salvezza raggiunge anche i gentili ed è in realtà l’apertura ai gentili (13,44.49) a provocare – dopo il fattore cristologico che rimane l’elemento principale – il rifiuto di Israele (13,45.50). Certamente l’opposizione ebraica avrà a un certo punto le sue conseguenze sullo sviluppo della missione: abbandono della sinagoga-restringimento della missione ai gentili (13,46), fuga dalla città (13,51); i giudei, però, rimangono all’arrivo in una nuova città i destinatari privilegiati dell’annuncio (14,1).
   Ma c’è di più: come visto, infine, nel terzo capitolo dedicato al confronto di At 28,17-31 con At 18,1-18, non solo all’arrivo in una nuova città si comincia se possibile dagli ebrei, ma anche nella stessa città essi rimangono i destinatari dell’annuncio anche dopo la ‘rottura’, naturalmente nella misura e nelle modalità possibili (18,7-8).
   Conclude la tesi una serie di riflessioni sul rapporto chiesa-Israele oggi. Di questo complesso e fondamentale tema vengono ripercorse le tappe fondamentali dalla dichiarazione conciliare Nostra aetate del Concilio Vaticano II ad oggi e si offre a partire dall’opera lucana qualche spunto di attualizzazione utile per l’approfondimento e lo sviluppo dei rapporti tra ebrei e cristiani. Luca, infatti, ha molto da offrire a questa discussione, non solo più in generale invitando il cristiano a liberarsi dai pregiudizi e ad aprirsi al riconoscimento e all’apprezzamento dei valori dell’ebraismo, ma soprattutto invitandolo a considerare lo stesso ebraismo un arricchimento per la stessa fede cristiana, uno stimolo all’approfondimento.